5.06.2018
Ompio, terrazzo aprico nel verde entroterra del Verbano, una delle porte della Val Grande
Aprico… ma che bell’aggettivo! Vagamente poetico e incerto. Lo leggo nella didascalia di una vecchia fotografia in bianco nero dell’Alpe Ompio che ho appena ritrovato e descrive già lui da solo molto di quello che si vede. C’è una strada polverosa che sale tra i pascoli, dove passavano i carri dei vecchi alpigiani meno di cent’anni fa. I vecchi avevano grandi baffi ed erano gente molto seria, così appaiono sempre nelle foto ingiallite appese nelle baite, sotto i crocefissi. Immagino le bestie su questi pascoli belli puliti, dissodati e strappati con ostinazione al bosco, trattenuti da rozzi muretti per arginare la terra magra. Dopo una vita di lavoro piuttosto solitario, questi prati sono l’unica eredità di quei vecchi. In basso a destra nella fotografia si intravede anche una bandiera.
Quindi la foto deve esser stata scattata dopo il 1948, quando è stato inaugurato il Rifugio Fantoli. Il rifugio era stato ricostruito da volontari al posto di un edificio sventrato dalla guerra donato da Luciano Fantoli, noto dentista e Presidente del comitato distrettuale della Croce Rossa di Pallanza, proprio al CAI di Pallanza a condizione che una volta finito portasse il nome del padre: “Rifugio Fantoli Geometra Antonio” (ringrazio lo studioso Pietro Pisano per le informazioni biografiche sulla famiglia Fantoli).
Poi arrivano anche qui gli anni ’50 e ’60, un’epoca d’oro per la vita sezionale, e per il turismo montano in generale, soprattutto quello dietro casa, economico. Belle comitive numerose, gite domenicali, ragazze, canzoni e vino.
Sessant’anni dopo si arriva all’altra foto, quella a colori, che ho scattato un mese fa. Cos’è cambiato?
Il Rifugio Fantoli c’è ancora, è stato migliorato negli anni, la polenta di Andrea Righes è molto buona e mi vien da pensare che forse il rifugio ha resistito fino a oggi anche grazie a quella strada che non si voleva venisse costruita fino a Ruspesso, ma che l’Ing. Cabassi, noto mercante di aree edificabili (Rivista Cooperare, Giugno 1973) realizzò a sue spese, non so se per lungimiranza o perché possedeva una baita da queste parti.
I muretti a secco arginano ancora la terra magra, il sipario del bosco è calato lentamente intorno alle stesse baite di allora. Alcuni proprietari tengono pulito intorno alle baite l’incolto: tagliano il bosco, i rovi, lo fanno per quei 15 giorni all’anno in cui aprono casa, portano su i nipoti e le mogli coi vasi dei gerani. Tengono pulito per sé e per gli altri. E io sono molto riconoscente di questa pulizia. Soprattutto verso il signor Luciano, di Caseracce, che ci ospiterà sul suo bel prato sospeso sulla Val Grande quando parleremo di Wild domenica 10 giugno per le Escursioni Letterarie con Bebookers.
Il paesaggio sullo fondo invece, se confronto le due foto, è quasi uguale: il Lago Maggiore, le montagne grigioline che lo racchiudono, scalpellate dai ghiacciai dell’era quaternaria… ma si sa, l’aspetto di un lago pleistocenico si misura in unità di tempo per noi incomprensibili.
E poi certamente sono cambiati gli odori – non ci si pensa mai agli odori: mancano gli odori delle bestie al pascolo, che non ci sono più, e il profumo balsamico del bosco di betulle, che si sente tanto meglio appena inizia a piovere (cosa non proprio rara, da queste parti) si è aggiunto a quello terroso e riposante del faggeto. Non c’è più l’odore -aprico?- di quei vecchi malinconici che sapevano di giornate di lavoro al sole, di sudore e vino. Oggi è rimpiazzato forse dall’odore degli escursionisti, più o meno sudati, ma benedetti dal deodorante e dall’uso quotidiano di dentifricio.
Un paesaggio di montagna quindi non si può dire che sia bello solo se rimane sempre uguale a se stesso, no? Certo che no. E anche per questo mi piace andare in montagna, e tornare negli stessi posti di tanto in tanto o dopo anni, per vedere come sono cambiati, che “faccia” hanno adesso. Così come mi piace cercare nelle vecchie fotografie o nei dipinti com’erano un tempo, come li vedevano un tempo. Così anche quando preparo un’escursione seduta davanti a uno schermo di un computer, studiando le carte e i libri, capita di provare lo stesso stupore di quando si sfogliano i vecchi album di famiglia: toh guarda, ma pensa com’era!
| Alpe Ompio, dopo il 1948 | Alpe Ompio, Aprile 2018 |