24.04.2019
Qualche giorno fa ho accompagnato due classi di terza media in visita agli Orridi di Uriezzo che, a dispetto del nome, sono una vera e propria meraviglia della natura dell’Ossola, insieme alle vicine Marmitte dei Giganti.
Mentre stavamo per entrare nell’Orrido Sud l’insegnante di scienze ha avvistato una bella salamandra (Salamandra salamandra) richiamando la nostra attenzione all’urlo di: Fermi! Io ero proprio dietro di lei perché chiudevo il gruppo, ma tutti e trenta i ragazzi sono corsi indietro per vedere di che si trattava. La salamandra era ormai abbastanza terrorizzata e se ne stava immobile sul suo sasso muschiato, confidando in un’impossibile mimetismo. Tra chi bisbigliava “Ma che schifo!” e chi chiedeva “Cosa? Cosa?” senza riuscire a vederla pur avendola davanti, una voce si è levata con sicurezza a dire: “Ah sì. Le conosco. Sono velenose, non toccatela” e un’altra: “Ma è vero che se le bruci non sentono il fuoco?”
E questa da dove arriva… mi sono chiesta prima di negare con autorevolezza – la poca che mi concedono dei quattordicenni in gita-, e di propinargli lo spiegone naturalistico al quale ero tenuta.
La leggenda della salamandra che vive nel fuoco arriva da lontano e per migliaia di anni deve essere sembrata tanto naturale quanto vedere gli uccelli che vivono nell’aria. In realtà la pelle umida di questi anfibi urodeli (cioè dotati di coda) li rende estremamente vulnerabili alle fonti di calore come al disseccamento dovuto alla lontananza dall’acqua. Quindi, come è possibile che abbia goduto di tanto credito?
Già Aristotele nella sua Historia animalium, pressapoco nel 340 a.c. scrive, solo per sentito dire, che la salamandra quando cammina attraverso il fuoco ha il potere di estinguerlo.
Plinio il Vecchio, meno credulone, quattro secoli dopo distingue la salamandra, che è un anfibio, dai sauri, cioè i rettili, ma nel decimo libro della Naturalis Historia la descrive comunque così:
“Questo animale, di forma simile alla lucertola, pieno di stelle*, non appare mai se non nel tempo delle forti piogge e scompare quando fa bel tempo (…) Ed è tanto freddo che al suo contatto il fuoco si spegne come fa a contatto col ghiaccio”
Ho adattato un poco la lingua di quella raccolta di notizie bizzarre che è la Naturalis Historia a quella corrente, ma il significato non cambia. Le stelle* credo siano le vistose macchie gialle per cui la salamndra è facilmente riconoscibile.
Non è proprio del tutto falso però quello che annota Plinio: la salamandra in fondo è un animale a sangue freddo, più precisamente assume la temperatura dell’ambiente in cui vive, e quindi se si trova in un ambiente fresco e umido, come quello degli Orridi di Uriezzo, risulterà fredda quando la si tocca. Ma da qui a spegnere il fuoco (o a sopravvivervi!) ce ne passa.
Nel Medioevo la salamandra viene caricata di altri significati simbolici e associata all’immagine di Cristo, per la capacità appunto di risorgere, come la Fenice, dalle fiamme, quindi dalla morte. Molto frequentemente compare nei bestiari dell’epoca, a volte in scene di barbecue campestri piuttosto cruenti, in cui personaggi curiosi bruciano delle enormi – a badare alle proporzioni- salamandre piuttosto indifferenti che paiono molto simili a coccodrilli.
Anche se in realtà l’accostamento tra la salamandra e il fuoco è antecedente al cristianesimo: Il libro degli esseri a malapena immaginabili racconta che Sam andaran significa “fuoco interno” in persiano, la lingua dei mazdeisti, monoteisti per i quali il fuoco era un simbolo del divino. Brunetto Latini, nel Livres dou Tresor scrive:
“E sappiate che la salamandra vive in mezzo alla fiamma del fuoco senza dolore e senza danni al suo corpo, ma spegne il fuoco grazie alla sua natura”
L’associazione col fuoco viene percepita anche come “infiammazione”. Il passo è breve: la salamandra è ovviamente velenosa. Sempre Plinio sostiene che se una qualunque parte del corpo umano entra in contatto con la bava della salamandra si ricopre di macchie biancastre. Certamente leccare una salamandra non è una buona idea e non credo che Plinio il Vecchio, pur pervaso dal nobile scopo di compilare un’opera che racchiudesse tutto il sapere del tempo, ci abbia provato. Velenosa oggi sappiamo che non lo è di certo, almeno non quella pezzata che troviamo comunemente, al più potremmo definirla blandamente tossica.
Nel Bestiario di Ashmole, da semplice anfibio che vive nel fuoco e che produce bave capaci di sbiancare la pelle, diventa uno strumento di distruzione di massa:
“…è la più velenosa tra tutte le creature velenose. Le altre uccidono un individuo alla volta; questa ne uccide parecchi in una volta sola. Poiché se essa cammina su un albero, tutti i pomi vengono infettati dal veleno, e coloro che ne mangiano muoiono. Allo stesso modo se cade in un pozzo l’acqua avvelenerà coloro che la bevono.”
Ma è proprio nel Rinascimento e poi nel Barocco che la relazione col fuoco diviene dominante. Nell’Iconologia di Cesare Ripa l’elemento del fuoco è appunto rappresentato da una bella donna che:
“Con ambe le mani tenga un bel vaso pieno di foco, da una parte vi sarà una salamandra in mezo d’un fuoco, e dall’altra una fenice parimenti in una fiamma sopra la quale vi sia un risplendente sole”.
E già per Paracelso la salamandra era il “fuoco elementare” e poteva essere evocata in aiuto al praticante che volesse attingere a uno dei quattro elementi fondamentali dell’Universo.
L’emblema della salamandra tra le fiamme diventò anche lo stemma di Francesco I re di Francia, associata al motto “Nutrisco et Extinguo” che compare nello stemma sul castello di Azay-le-Rideau nella Loira, ma anche “Erit Christianorum Lumen in Ignae” a Roma, sulla chiesa di San Luigi dei Francesi, non lontano da Piazza di Spagna.
Ma il meglio ce lo regala Benvenuto Cellini che racconta che una salamandra viveva nelle fiamme del suo caminetto d’infanzia gioendo delle più vigorose fiamme e una volta, quando aveva appena cinque anni, il padre gliene aveva mostrata una nel fuoco, dandogli subito dopo un sonoro ceffone affinché:
“Figliolin mio caro, io non ti do per male che tu abbia fatto, ma solo perché tu ti ricordi che quella lucertola che tu vedi innel fuoco, si è una salamandra.”
Nel caso dei ragazzi di terza media di Abbiategrasso credo abbia influito di più la lettura di J.K. Rowling Harry Potter e la camera dei segreti che quella dei bestiari medievali o di Benvenuto Cellini:
“La pioggia continuava a battere contro i vetri, che ora erano neri come l’inchiostro, ma dentro l’atmosfera era calda e allegra. I bagliori del fuoco illuminavano le soffici poltrone dove i ragazzi erano sprofondati chi a leggere, chi a parlare, chi a fare i compiti o, come nel caso di Fred e George Weasley, a scoprire cosa sarebbe successo se una salamandra avesse inghiottito un fuoco d’artificio Filìbuster. Infatti, Fred aveva ‘salvato’ da una lezione di Cura delle Creature Magiche una Salamandra del Fuoco di un bel colore arancio brillante, che in quel momento stava bruciando dolcemente su un tavolo, circondata da un capannello di curiosi.”
Insomma: creatura del fuoco, virtuosa o mortale: se ci affidassimo solo a quello che abbiamo letto nelle storie ispirate ai bestiari medievali assoceremo sempre a questo docile animaletto qualcosa di vagamente pericoloso. E grazie a una salamandra e alla sicumera di un ragazzo di terza media ho capito una volta di più quanto la seduzione del sentito dire abbia radici profonde che si perdono nel buio della nostra memoria.
In fondo qualsiasi verità che ci sembra assodata andrebbe messa sotto verifica di una banalissima domanda: da dove arriva questa cosa che so? Il caro e vecchio Plinio d’altronde lo sapeva bene: “Tra tutte le cose, questa soltanto è certa. Che non vi è nulla di certo.”