Il pensiero immorale
21.04.2018
Ieri sera ho trovato qualcosa di inaspettato nel bosco. Camminavo fuori dal sentiero, vicino al torrente gonfio dell’acqua del disgelo. Poi le ho viste, non subito, non tutte insieme, quasi irriconoscibili tra i ruderi. Erano tre macine in pietra. Se ne stavano mimetizzate tra le rocce illuminate dal sole, le foglie secche e tutto il nuovo verde di questa selvaggia primavera. Dopo la prima sorpresa da caccia-al-tesoro, quelle pietre consumate coperte dal muschio sono diventate motivo di una leggera malinconia.
Anche loro infatti, come tutti gli oggetti che dilatano il tempo riunendo passato e presente, restituivano la sensazione incredibile dell’esistenza di un mondo privo di me, indifferente alla mia esistenza. Possibile?
Era una sera splendente, giunta dopo giorni di pioggia e neve, alla fine di un lunghissimo inverno, il torrente scintillava nell’aria tesa e il sole aveva cominciato a risvegliare i processi clorofilliani. Tutto era nuovo e pulito e quelle tre macine se ne stavano lì da anni, impassibili e mute.
Forse vivere tutti concentrati nel qui e nell’ora ci distoglie completamente dalla vastità del pianeta e delle epoche ormai silenziose. E ci permette di abitare, vestire, camminare, correre senza sentire il peso di quello che Eugenio Turri definisce il pensiero immorale.
Questo pensiero immorale dice che un certo punto tutto finisce. E che arriveranno altri dopo di noi che sorrideranno dei nostri pensieri, delle nostre abilità, del nostro modo di vivere scorgendo per caso un rudere alla periferia di una città o in mezzo a un bosco.
| Foto: Boschi di Croveo, Aprile 2018 |